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Visualizzazione dei post da ottobre, 2017

Grandezza di Dante nell'immaginario collettivo

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Qualche anno fa (sette per l'esattezza, quando avevo vent'anni e il mondo mi sembrava più divertente) scrissi queste brontolose considerazioni letterarie, paragonando il nostro Dante Alighieri all'inglese John Milton , l'autore - ma già lo sapete - del Paradiso Perduto : Milton aveva vergato, su un foglio, i vari argomenti da cui avrebbe potuto trarre un poema, e infine si era deciso per la cacciata dal Paradiso, considerandolo forse il più patetico e universale di tutti. E proprio qui, credo, sta la differenza tra questi due poeti: Milton ha dovuto elaborare i suoi versi su un canovaccio preesistente, grandioso e ampiamente conosciuto; Dante invece su uno nuovo (seppure ispirato a certi precedenti viaggi nell'oltretomba: ricordiamo Ulisse, che non poté leggere direttamente, Enea, Beda il Venerabile*...). Il personaggio Dante, al contrario del personaggio Lucifero, insomma, è creato ex novo : la sua grandezza (una delle sue grandezze) sta nel fatto che la storia

La donna prodigio

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Ogni volta che guardo un cinecomic mi preparo a una nuova, cocente delusione. Alcuni cinefumetti sono buoni, anzi molto buoni, lo so: i primi due Superman , i Batman di Burton , gli Spider-Man di Raimi , Il Cavaliere Oscuro di Nolan , il primo The Avengers firmato Whedon e l' Ant-Man di, possiamo dirlo? sbagliamo?  Wright . Persino l'ultimo Spider-Man: Homecoming non era per niente male. Sono questi esempi di qualità di cosa possa essere il cinefumetto, a metterci un po' di cervello, un po' di mestiere e un po' di passione. Ma non posso negare che la maggior parte dei cinefumetti anneghi nella propria stessa melma. Qualche giorno fa ho visto Wonder Woman . Non sono riuscito ad andare al cinema, quindi ho aspettato che le edicole si riempissero del DVD. E Wonder Woman mi è piaciuto.  È    un film con dei cattivi da operetta, con piani malvagissimi ma senza particolari motivazioni, pieno di cliché (ma davvero tanti), di parentesi comiche pochissimo riuscite

Manifesto della psicoantropologia...

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... o dell'antropopsicologia? Ebbi modo, qualche tempo fa, di scrivere sul blog  a proposito della psicologia e dell'antropologia: Se dovessi distinguere il campo d'indagine di queste due discipline, purtroppo studiate separatamente, direi che se l'antropologia studia cosa sia l'umanità, allora la psicologia studia cosa sia l'uomo. Ecco, voglio seguire questo mio pensiero. La psicologia si occupa di studiare l'individuo, o le relazioni affettive o sociali instauratesi tra gli individui*; l'antropologia (quella che qui io intendo per "antropologia" non è, limitatamente, l' antropologia di stampo medico . Piuttosto sono le scienze demo-etno-antropologiche) si occupa dei gruppi di individui in quanto manifestazioni - la definizione è coraggiosa, e temo debole - dell'umanità. Ho già detto che brutta abitudine sia studiare indipendentemente queste discipline, quando esse sono invece così legate, come di certo chiunque può rendersi cont

Posso parlare di ciò che non conosco?

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La prima regola della scrittura, a detta di tutti, è "parla solo di ciò che conosci"*. Be', non è esattamente la prima, ma di certo è sul podio. Molti scrittori ne derivano la massima di dover parlare solo della propria quotidianità, più o meno romanzata, e di dover scrivere personaggi a loro volta scrittori, o aspiranti tali. In verità la regola ha un significato leggermente più comprensivo: significa che, se finite per parlare di cose che non conoscete, allora dovete fare delle ricerche finché non le conoscete a menadito. Leggete libri, giornali, cercate persone che ne sanno qualcosa e intervistatele. Se scrivete di un pescatore dovete sapere come si pesca, cosa si pesca e possibilmente parlare prima con qualche pescatore di vecchia data. Questo a meno che voi non siate a vostra volta dei pescatori: cosa che, ovviamente, garantisce in modo automatico che queste tre condizioni siano soddisfatte. Io faccio ricerche. Faccio un sacco di ricerche. Quando pensavo di scriv

Attraverso uno specchio, in un enigma

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Di nessuna grande verità lo spirito medievale era tanto convinto quanto delle parole di San Paolo ai Corinzi: Videmus nunc per speculum in aenigmitate, tunc autem facie ad faciem . Il Medioevo non ha mai dimenticato che qualunque cosa sarebbe assurda, se il suo significato si limitasse alla sua funzione immediata e alla sua forma fenomenica, e che tutte le cose si estendono per gran tratto nell'aldilà. Questa idea è familiare anche a noi, come sensazione non formulata, quando ad esempio il rumore della pioggia sulle foglie degli alberi o la luce della lampada sul tavolo, in un'ora tranquilla, ci dà una percezione più profonda della percezione quotidiana, che serve all'attività pratica. Essa può comparire talora nella forma di una oppressione morbosa che ci fa vedere le cose come già impregnate di una minaccia personale o di un mistero che si dovrebbe e non si può conoscere. Più spesso però ci riempirà della certezza tranquilla e confortante che anche la nostra esistenza par