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Visualizzazione dei post da agosto, 2017

Una poesia che ami

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Il Proemio del Waif di Longfellow , nella traduzione di Ettore Bonessio di Terzet: Il giorno è finito, e il buio cade dalle ali della Notte come piuma persa da Aquila in volo. Vedo le luci del villaggio brillare tra pioggia e nebbia, e un senso di tristezza mi stringe, e la mia anima non sa più resistere; un senso di tristezza e nostalgia, che non è simile al dolore, solo gli rassomiglia come fra loro pioggia e nebbia. Vieni, leggimi qualche poesia, qualche canzone semplice e sincera, che plachi la pena del cuore, e disperda i pensieri del giorno. Ma lascia i grandi maestri antichi, e i bardi sublimi, i cui remoti passi echeggiano lungo le vie del tempo. Lasciali, perché, accenti di musica guerriera, i loro possenti pensieri evocano la pena del vivere e l'infinito travaglio; e stanotte io voglio riposare. Leggimi qualche oscuro poeta, i cui canti vennero da

Cosa leggo questa settimana: il ritorno

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Non si sfugge all'ora di scrittura giornaliera , anche se oggi è dedicata alla rilettura di vecchi lavori e all'aggiornamento del blog. Questa settimana avrei voluto scrivere qualche recensione per la rubrica Vivere (d)i libri , che manca ormai da un po', ma ancora una volta mi scopro a non averne il tempo. E dire che stavo pensando di raddoppiare gli articoli del blog, da uno alla settimana (lunedì) a due (lunedì e giovedì)... ma come pensavo di farcela, a questo punto, proprio non so. Nel frattempo, e per risolvere almeno in parte i miei problemi, su Psicologia e Scrittura torna l'appuntamento con Cosa leggo questa settimana , la rubrica che mi permette di parlare dei libri che sto leggendo mentre li sto leggendo. Non è una cattiva rubrica. Si offre come una testimonianza dell'esperienza della lettura, per una volta, non a posteriori; e non so dove altro potreste trovarla su internet! Dunque, in questa settimana di lavoro, questa settimana di caldo intens

Almeno un'ora al giorno

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Per due mesi non ho scritto una riga. Quello che vi sto confessando per me ha una certa importanza. E una certa gravità. Per anni, diciamo da dieci anni, non sono mai stato tanto a lungo senza aver scritto qualcosa: un racconto, qualche pagina di un romanzo, un saggio breve. Che poi la maggior parte di ciò che ho scritto non fosse granché, bene, lo accetto: ho sempre pensato che finché scrivevo non potevo che migliorare, e la cosa mi sembrava abbastanza. L'atto stesso della scrittura, per me, rappresentava quella che per altri potrebbe essere una palestra, o una corsa mattutina. Era sia una valvola di sfogo, che credo mi abbia mantenuto sano di mente dall'adolescenza fino ad oggi - benché io abbia rarissimamente scritto qualcosa di biografico -, sia un modo per rendere me stesso l'uomo che ho sempre desiderato essere (chi, adesso ve lo dico). Non ho mai perso di vista il mio obiettivo: ogni parola che battevo sulla tastiera del mio computer, anzi dei miei computer, vist

Il paradosso della comare

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Geoffrey Chaucer iniziò a scrivere I Racconti di Canterbury nel 1388; nel 1400 morì, e non li aveva ancora completati. Dei centoventi racconti che s'era prefissato riuscì a finirne solo ventiquattro. Tanti ci bastano per considerarlo il capolavoro del Middle English  (anzi, è vero il contrario: il Middle English è quello perché ci scrisse Chaucer. L'autore del Pearl e del Sir Gawain era contemporaneo di Chaucer, ma il suo inglese era completamente diverso, e noi non lo ricordiamo quasi più). La cornice dei Racconti è nota a tutti, e ispirata putacaso al nostro Boccaccio , o al più al nostro Dante (Chaucer conosceva bene i poeti italiani). La ricordo comunque: un gruppo di persone decide di raccontarsi delle storie per ammazzare il tempo durante il pellegrinaggio alla tomba di San Thomas Becket. Nell'articolo di oggi parlerò di uno dei racconti più famosi dei Tales , quello della Comare di Bath, che Harold Bloom riconosce come uno dei grandi antesignani dei persona