La poesia è davvero soggettiva?

«Se non si fa qualcosa per fermare quest'alluvione di mediocre poesia, l'arte del verso diventerà non soltanto superflua ma ridicola. La poesia non è una formula di cui migliaia di fanciulle svaporate e ragazzotti ignoranti si possano impadronire in una settimana, senza alcuna preparazione, e il solo fatto che oggi sia praticata con tanta e universale disinvoltura basta a dimostrare che qualcosa si è deteriorato, nei nostri criteri di valore [...]»

A parlare non sono io ma Edmund Gosse, sulle pagine del Sunday Times del 30 maggio 1920. 1920: come a dire che il problema della brutta poesia non è poi tanto recente... forse a noi sembra perché è stato acutizzato da internet. Ma cos'è la poesia? Come si valuta la qualità di una poesia? Come si fa a dire: questa è bella, questa no? Ecco, affronteremo l'argomento anche in una delle interviste psicologiche che abbiamo in programma per il blog, ma qui ve lo anticipo. Molti illuminati autori hanno parlato prima di me della poesia e di come leggerla (William Wordsworth, T.S. Eliot e Harold Bloom tra gli altri); ma a che servirebbe citare loro o Mallarmé, Verlaine, Borges? Spiegherò il mio ragionamento, piano e semplice, e se è buono nessuna autorità lo renderà migliore, se è cattivo nessuna autorità potrà salvarlo. 

L'ARTE DEL SOGGETTIVO
Per parafrasare Gli Incredibili "Se ogni cosa è arte, allora niente lo è".
Anche se si è tentati di liquidarla, non è una riflessione da poco

Col fatto che di gusti personali non è lecito discutere, siamo tentati di pensare che l'arte in sé non possa essere mai giudicata. Risolviamo dicendo che ogni cosa, se può trovare un pubblico, è un prodotto artistico... Il che significa che ogni cosa è arte (non in senso dadaista o secondo i criteri dell'arte concettuale: non c'è una teoria forte dietro questa posizione, ma solo pigrizia intellettuale).
I motivi per cui l'arte, in Italia, viene fagocitata nella macrostruttura del soggettivo non riguardano questo articolo. Nel corso degli anni, comunque, questo lassismo della critica ha creato da solo i propri temibili anticorpi: le recensioni e le riflessioni sulla scrittura, spesso polarizzate in senso opposto, di Gamberetta, del Duca di Baionette, di Knight & Princess e del loro seguito [qui e qui un dialogo col Duca che spero troviate interessante].
La gran massa dei poeti che indichiamo con Gosse, insomma, pensa che basti l'emozione per fare poesia; l'emozione e una serie di enjambement. Qualunque opera, in quanto frutto ed espressione dell'anima dell'uomo, secondo loro andrebbe considerata alla stregua dell'arte. Ma invito chiunque a fare un giro su internet cercando alcune delle poesie di questi autori: per la maggior parte sono pessime, con tanti saluti alla soggettività. A volte infarcite di errori grammaticali. Ma allora torniamo alla domanda iniziale, alla vexata quaestio: come si fa a giudicare la bontà di una poesia?

IL VALORE DI UNA POESIA
Credo che esistano due metri di giudizio per una poesia: e cioè il suono e il contenuto. Il più importante tra questi è il suono: una poesia, prima di tutto, deve essere eufonica. Si può raggiungere questo risultato tramite assonanze, rime, metrica, ritmo, evitando uno stile anacronistico, non è importante. L'importante è il risultato. La sonorità può appartenere al verso o può essere colta solo con uno sguardo d'insieme della poesia. Ecco perché, per valutare una poesia, è necessario leggerla ad alta voce: una poesia dev'essere prima di tutto piacevole.
Il secondo criterio riguarda il contenuto. La profondità del messaggio che essa intende trasmetterci. Tuttavia il contenuto, mi viene provocatoriamente da dire, è un accidente della poesia: una poesia sonora e priva di senso, come certi passaggi di Dylan Thomas, rimane comunque un'ottima poesia; una poesia terrificante a sentirsi e che parla dei massimi sistemi resta cionondimeno una poesia terrificante a sentirsi. Esiste quindi, in poesia, un primato del significante sul significato.

Sì, lo so. È un approccio alla poesia che viene messo alla berlina nel film L'Attimo Fuggente. Ma in quel film si parla poco, e sempre male, di letteratura; il vero messaggio riguarda i pericoli del conformismo. 

John Keating, famoso per strappare i libri con cui non si trova d'accordo.

IL PROBLEMA DELLE TRADUZIONI
Ora, che il problema delle traduzioni in Italia sia reale, questo è fuor di dubbio. Ma quando si parla di poesia, e si confrontano i testi originali con quelli tradotti, bisogna andarci piano con le critiche: il compito del traduttore, per preservare la bellezza di una poesia, diventa prima di tutto quello di preservarne il suono, il ritmo, e poi il contenuto. Un procedimento che non lascia spazio alla traduzione letterale, se non da lingue molto vicine alla nostra - e di certo non, per esempio, dall'inglese o dal tedesco. La soluzione? Di inserire, a inizio di ogni raccolta, un'introduzione che istruisca il lettore sulla lettura fonetica, e poi tradurre letteralmente la poesia nella nostra lingua. In un'altra pagina, a fianco dell'originale, riportare infine la trascrizione fonetica della stessa. Il lettore potrà così prima leggere nella sua lingua il significato della poesia, e poi assaporarne il suono originale... o viceversa.

A CONTI FATTI
Ecco che, in poche righe, ho già fornito alcuni criteri per valutare la qualità di una poesia. Sono criteri oggettivi? No, perché oggettivare l'arte sarebbe un errore grave quanto soggettivarla, con buona pace di Gamberetta & C. (salute!). Ma sono criteri più rigidi del "qualunque cosa prodotta dall'animo umano", e credo che siano utili, almeno quando si legge una poesia brutta, per capire esattamente perché sia brutta; e per non lasciarsi ingannare dal falso ragionamento che, in quanto "arte", essa debba per forza essere bella, e guai a chi pensa il contrario.

...

EDIT in fretta e furia (14/03/2016)
Questo articolo ha generato una bella discussione nel gruppo FB Quelli della scrittura creativa@Scuola Carver, che ringrazio (e che vi invito a seguire). Molte persone, insomma, non si sono trovate d'accordo con me a proposito del primato del significante sul significato. Il loro è un punto di vista che capisco ma che non riesco a supportare. Forse, se avessi citato Borges, che condivide gran parte di quello che ho scritto, e i simbolisti francesi (la poesia come musica), la mia tesi avrebbe avuto maggior forza persuasiva.

Durante questa discussione è venuto fuori che, se ci basassimo esclusivamente sul suono, allora il Da Da Umpa dovrebbe essere considerato una poesia. Benissimo: innanzitutto non escludo che il Da Da Umpa avesse tutte le carte in regola per essere considerato arte o anti-arte, se fosse stato presentato all'interno di qualche corrente letteraria e non in un vaudeville televisivo (probabilmente in un'avanguardia storica).
Ma allora dove starebbe la differenza tra poesia e numero di varietà? Io credo che sia nella consapevolezza dell'artista. Nel lavorio segreto che porta alla poesia. Nello studio, nel sapere, persino nella collocazione storica e nell'intento del poeta. Insomma, in un terzo criterio che si affianca agli altri due: la coscienza dell'artista. Il problema è che essa difficilmente può essere valutata attraverso un testo anonimo, e sono restio a inserirla nell'articolo.

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